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Obsolescenza e antidoti: le comunità online di hackers

Obsolescenza.
Ossia, perché il frigorifero che i miei hanno comprato prima che nascessi ha funzionato per trent’anni e più, e invece il mio dopo dieci anni cade a pezzi? E come mai ho già cambiato due lavatrici in 15 anni, e mia madre la sua prima, l’ha tenuta per almeno 20?

Ma soprattutto, perché i computer o i cellulari che compriamo nei negozi, che sono tutti garantiti 3 anni seguendo le regole europee, quasi sempre dopo un anno e mezzo o due sono obsoleti, tanto da doverne comprare di nuovi?

La cosiddetta obsolescenza programmata è il segreto di pulcinella della tecnologia, o per meglio dire della produzione industriale degli ultimi 100 e passa anni.

Le prime prove documentate infatti risalgono al 1924, quando un gruppo di produttori di lampadine si accordò per ridurre la durata dei loro prodotti, in modo da venderne di più (l’accordo era conosciuto come cartello Phaebus). L’effetto evidentemente c’è stato, se una lampadina prodotta prima dell’accordo (negli anni 90 del 1800) è rimasta in funzione per 116 anni in una caserma di pompieri in California

Oggi.

Da qui facciamo un salto ad oggi, quando Greenpeace, insieme a quei grandi di iFixIt, lancia una campagna per dimostrare la non-riparabilità pianificata di molti prodotti tecnologici, chiedendo ai principali responsabili (Apple e Samsung in cima alla lista) di ripensare le loro strategie. Eccolo qua un bell’esempio di obsolescenza programmata: di molti prodotti tecnologici spesso non vengono nemmeno commercializzati i pezzi di ricambio, oppure per aprirli servono degli attrezzi speciali, oppure ancora alcune soluzioni tecniche, semplicemente, non sono progettate per poter durare più di tre o quattro anni al massimo prima di andare in tilt.

obsolescenza
Schede madri di computer – da Intolerable Beauty: Portraits of American Mass Consumption, di Chris Jordan

Ed è tutto normale, perchè è roba difficile e quindi è meglio chiamare il tennico col camice bianco, che ci pensa lui. Ai prezzi che dice lui, ovviamente – che sono sempre proibitivi. Risultato? Ogni dispositivo che per motivi anche banali (batteria da sostituire, due condensatori da cambiare) non funziona bene, viene buttato e ricomprato. E’ il capitalismo, bellezza.

Ah beh.

Giusto per rinfrescare la memoria, ho messo qua sopra il fantastico video di 20 minuti che dieci anni fa ha fatto partire un (ennesimo…) intero movimento contro questa attitudine. E’ una analisi semplice, schematica, impietosa di come questo stupido sistema di consumo delle risorse non possa portarci da nessuna parte.

Certo è basato sugli USA, ha i suoi anni, non è specifico sulla tecnologia (il video su quello l’han fatto nel 2010) – ma è un (ennesimo) bello schiaffone a tutte le idiozie sullo sviluppo tramite il consumo. E un bel modo di spiegare cosa si intende per obsolescenza programmata – e anche per obsolescenza percepita, che ne è la naturale evoluzione, con lo spostamento del focus dalla fabbricazione della merce, alle nostre emozioni e percezioni di consumatori, ossia gli ingredienti con cui si conducono tutte le battaglie oggigiorno.

Riparare.

Va beh, ma tu nel blog parli di tecnologia, videogiochi ed educazione, cosa sono adesso questi pipponi moralisti (anzi, buonisti, come dicono i peggiori tra gli imbecilli) sull’inquinamento e l’industria eccetera?

A me interessano molto le tecnologie, proprio perchè mi interessano gli usi umani che se ne possono fare. Ho già scritto di umanesimo tecnologico. Ma soprattutto, assisto da anni allo sviluppo di usi e costumi che dimostrano che, almeno in questo caso, un altro mondo è possibile.

Però quanto ne sanno, di questo mondo che viene, i fantomatici educatori, i professori di informatica (e anche delle altre materie), i militanti severi del chilometro zero eccetera? Quanto sono preparati e pronti a parlarne con studenti, ragazzi, figlie e figli? E i semplici utenti, che ne pensano?

Ad esempio, apriamo questo dibattito che mi sta molto a cuore: da quando la riparabilità non è più un valore?

obsolescenza : ripararsi il motorino da soli

Io faccio parte di una generazione che ha passato centinaia di ore in garage a smontare e rimontare marmitte e carburatori di motorini – non io personalmente, io come ho detto smontavo schede madri e banchi di RAM, e una volta con uno ci avevo fatto anche una collana – che non era piaciuta affatto ai doganieri francesi all’imbarco per l’Irlanda, ma questa è un’altra storia.

Questo significava il nostro controllo totale, di un’intera generazione, sulla nostra tecnologia di riferimento, ossia il motore a scoppio con telaio a due ruote. Un controllo tale da portare questa tecnologia a prestazioni molto migliori di quelle di fabbrica – e molto al di là dei limiti di legge e delle omologazioni, ma questo è, di nuovo, un altro discorso.

Nessuno vede un valore in questo? Un valore che si è perso?

I circuiti dei makers, che dello smanettamento al banco di lavoro hanno fatto una filosofia di vita encomiabile, da tempo hanno steso manifesti che di riparabilità parlano moltissimo, dai già citati grandi personaggi di iFixIt, fino a quelli di Sugru, che dei loro princìpi hanno fatto anche un business (oltre che una straordinaria colla multiuso 😀 ) . Perché questi manifesti non li troviate appesi e incorniciati in ogni aula e laboratorio di ogni istituto tecnico d’Italia, è un mistero che va oltre le mie capacità di comprensione.

Decrescere (?)

C’è nel mondo (o meglio: qua e là nel mondo) un ricco dibattito sulla decrescita felice.

Io, lo dico chiaro, non ne sono un grande fan, e questo post non fa il tifo per questo approccio. Personalmente, io son tra quelli che pensano che, prima di decrescere io, è il caso che decrescano quelli che vanno in giro con automobili che costano come tutta casa mia.
In ogni caso, vedo quello che mi passa per le mani e mi pongo il problema. E cerco soluzioni.

obsolescenza
discarica di telefoni cellulari – da Intolerable Beauty: Portraits of American Mass Consumption, di Chris Jordan

Vi racconto questa storia:

Ho iniziato ad assemblarmi i pc da solo, come tanti, negli anni 90. Mi documentavo un po’ su nuovi pezzi e compatibilità (ah, internet, che meraviglia dell’umanità che sei stata nella mia vita…), andavo in qualche negozio “giusto” segnalato da amici e conoscenti, facevo la mia spesa, e mi costruivo una macchina di grandi prestazioni che durava anni e anni. Casomai, ogni tanto aggiornavo la quantità di memoria RAM, o la capacità dell’hard disk, o il processore, o la scheda video. Piccole spese, interventi semplici. E intanto vedevo gente che ogni due anni buttava interi pc e ne ricomprava di nuovi, a ciclo continuo. E ai tempi, nemmeno mi preoccupavo ancora dei rifiuti, dell’impatto ambientale, dell’impronta ecologica di questo tipo di comportamenti. Mi sembrava solo stupido buttare tanti soldi (che non avevo…) quando se ne sarebbero potuti spendere meno.

Da qui potremmo fare grandi discorsi sulla necessità che aguzza l’ingegno… ma un’altra volta.

La cattedrale e il bazar.

Erano gli anni in cui dovevo avere a che fare per forza con Windows, perché di avere abbastanza soldi per comprare un Mac proprio non se ne parlava – e proprio dalla convivenza forzata di quegli anni, ne sono uscito con due grandi insegnamenti: prima di tutto, mai più Windows nella mia vita, e poi soprattutto, che spettacolo meraviglioso di cooperazione umana, è stato la creazione di Linux:

E’ analizzando quell’esperienza, e leggendo il libro La cattedrale e il bazaar, che mi si sono accese un po’ di lampadine: posso avere un computer costruito da solo, e un sistema operativo sviluppato da una comunità mondiale di programmatori volontari – insomma il volontariato delle tecnologie: il volontariato, una cosa mia, che facevo, che conoscevo. E intanto posso usare un modo per sviluppare quel che succede intorno a me, per promuovere collaborazione, per liberare intelligenze, che non è il solito dei camici bianchi e delle torri d’avorio – o delle cattedrali. Wow.

Si, ma soprattutto potevo finalmente disfarmi di Windows, e migliorare la mia vita?! L’ho fatto, ed è migliorata, parecchio!

Il mio amico Guido mi ha guidato nell’installazione di una versione di Linux particolarmente dimagrita, su un vecchio e obsoleto portatile IBM Thinkpad, che a stento reggeva Windows 95. Io non lo so se riuscite a capirlo, cosa è stato mettere Linux su quell’IBM.

E poi vedere che IBM, quella vera, si apriva all’open source, investiva e credeva in Linux e ci faceva sopra pubblicità che oggi non ci potresti credere, come questa:

Come al solito sto divagando, ma insomma forse sarà già chiaro che non può esistere obsolescenza programmata, in uno strumento costruito da chi lo deve usare e lo usa quotidianamente.

Poi è andata diversamente, IBM ha venduto la sua divisione personal computer ai cinesi che l’hanno fatta diventare Lenovo, e Linux si è avvitato in mille microguerre di religione come spesso succede nelle comunità autogestite e cresciute dal basso. Però io da queste esperienze qualche cosa l’ho imparata.

Napster.

Per esempio potremmo parlare di come l’industria della musica sia stata completamente stravolta in quel periodo, sotto ai miei occhi, dai sistemi di condivisione digitale che partendo da una idea in fondo simile all’opensource, praticavano la condivisione (illegale, come truccare i motorini) di una risorsa “di tutti”, come la musica. Da Napster in poi, migliaia di denunce, cause, multe processi, solo per arrivare allo streaming gratuito da Spotify eccetera. Come sempre, tanto rumore per nulla.

obsolescenza : napster al lavoro

Mi sto trattenendo dal parlare di riprenderci il controllo dei mezzi di produzione, all’interno di questo sistema di info-merci, altrimenti poi l’ex direttore di Microsoft degli anni 2000 si agita e ricomincia a parlare di comunismo a sproposito, e ripartono i meme come quindici e passa anni fa:

obsolescenza - o no?

Va beh, tanto lo sai anche tu che ormai è tutto mobile e touch; questa è roba da anni 90 e da pc assemblati, adesso un cellulare non si può costruire in casa e le corporation se sono magnate tutto.

Si e no.
Intanto, nonostante i tentativi di Google, il sistema operativo Android è ancora opensource. E’ un risultato incredibile, per quanto sottovalutato: poco meno di due miliardi di installazioni fino al 2015, e sotto ognuna di esse batte un cuore che è il kernel linux. Rieccoci.

A ben guardare, ci sono anche in giro progetti di sviluppo per cellulari almeno sostenibili, in attesa che l’opensource hardware si allarghi da Arduino a progetti più ambiziosi.

Ma sopratutto la comunità organizzata degli utenti, che seguendo il gergo chiamiamo community, fornisce a tutti quelli che si interessano a questi argomenti, una risposta eccezionalmente efficace e fantasticamente aggiornata, grazie proprio allo status opensource di Android. L’obsolescenza di un medio telefono Android evapora come neve al sole, quando si incontrano gli aggiornamenti autoprodotti e le versioni di Android personalizzate che i programmatori di mezzo mondo condividono sui forum di XDA.

Da quando poi le stampanti 3D sono diventate prodotti di più ampio consumo, la possibilità di (ri-)creare oggetti necessari, come ad esempio piccoli pezzi di ricambio, è davvero alla portata di tutti. Ad esempio uno dei più grandi archivi di modelli tridimensionali pronti per la stampa 3D, Thingiverse, contiene oggetti imperdibili che possono poi essere stampati, assemblati e decorati, come in questo video:

Ora è pur vero che la spada laser è un’arma per tempi più civili, e quindi l’obsolescenza ci torna tra i piedi 😀 ma insomma a me sembra anche un altro ennesimo esempio che creatività e collaborazione fanno grandi cose.

Ok, ma poi come si campa?

Nuovi mercati e nuove forme di artigianato, in diversi Paesi stanno pian piano riempiendo zone dismesse delle città, a partire dagli ex-distretti industriali. Mi piace pensare che un giorno ci dovremo occupare dell’obsolescenza dei centri commerciali, che per ora continuano a riempire i sogni proibiti delle giunte comunali di ogni centro abitato del centro-nord Italia, ma intanto io vi consiglierei un giretto di shopping su Etsy, o su Tindie se vi interessano i computer e l’elettronica dal basso come a me 😉

Ho anche una lunga wishlist, se vi venisse voglia di farmi qualche regalo!SalvaSalva

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